Sin dalla sua nascita nel 2009 (avvenuta contestualmente a quella del protocollo Bitcoin) attorno al concetto di blockchain si percepisce, da parte dei non addetti ai lavori, un sentiment generale di incertezza e diffidenza.
Questa tecnologia (blockchain significa letteralmente “catena di blocchi”) lavora con le caratteristiche di una rete informatica di nodi e consente di gestire e aggiornare, in modo sicuro e univoco, un registro contenente dati e informazioni in maniera aperta, senza la necessità di intermediazioni o di un’entità centrale di controllo e verifica.
La blockchain è una delle tecnologie in grado di rivoluzionare il modo in cui intendiamo e utilizziamo il digitale e la sua sicurezza e affidabilità non sono più un mistero: la sua adozione è infatti in costante crescita e ogni anno attrae investimenti pubblici e privati in ogni parte del mondo. Ma la spinta innovativa necessaria al suo impiego non sempre trova le giuste condizioni per crescere: ne abbiamo parlato nel corso di Enada Primavera con William Nonnis, esperto Blockchain e attualmente analista tecnico per la digitalizzazione e innovazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, struttura di Missione PNRR. “C’è un gap dal punto di vista imprenditoriale ma anche tecnologico. La blockchain in Italia non è ancora compresa del tutto. Il pensiero comune rimanda automaticamente alle criptovalute e spesso anche alle “truffe”. In realtà le blockchain ci permetterebbero di diversificare le metodologie di pagamento rendendole ancora più sicure, oltre che essere impiegate in molti altri ambiti e attività“.
Per esempio?
“Pensiamo alle nostre infrastrutture tecnologiche, dai fascicoli sanitari, alla finanza, fino all’interscambio energetico così importante per la transizione green. L’impiego della tecnologia blockchain sarebbe per esempio di grande utilità per le comunità energetiche, in questo modo chi genera energia in eccesso potrebbe reimmetterla in rete e diventare così da consumer a “prosumer”, riuscendo anche a guadagnare. Questo modello in altri paesi come l’Australia è già realtà, qui invece non lo utilizziamo” spiega Nonnis, che specifica poi il grande ruolo che la blockchain può giocare nella tutela della privacy e dei dati sensibili delle persone. “La blockchain oltretutto è la tecnologia in grado di garantire l’effettiva proprietà dei dati personali: in questo caso chi genera il dato ne sarebbe l’effettivo possessore, senza bisogno di intermediari che ne gestiscono il trattamento come le grandi piattaforme big tech, da cui di fatto dipendiamo”.
Quale può essere la “ricetta” per impiegare diffusamente la blockchain nei servizi pubblici?
“L’esigenza, tra le più importanti, è sicuramente sburocratizzare: la burocrazia in Italia frena molti progetti innovativi che potrebbero nascere, crescere e lavorare su queste tecnologie. Servono poi regole globali e una roadmap comune: quando parliamo di tecnologie disruptive, io credo che creare singole regolamentazioni per singole nazioni non aiuti a “governare” il digitale: piuttosto il rischio è di subirlo, alle condizioni e con gli standard degli altri paesi. In Asia ad esempio la blockchain è impiegata dal 2016 per i fascicoli sanitari elettronici: le regole ci sono, sono chiare a tutti e non sono così stringenti come in Italia“
Occorre un’opera di sensibilizzazione sulla blockchain?
“Sì, a diversi livelli. Sicuramente le fiere e i saloni sono ambienti importanti, perché permettono di parlare di queste tematiche in presenza, si può avere un punto di contatto ravvicinato. Ma un ruolo fondamentale lo ricopre il sistema mediatico: è importante formare le nuove generazioni di giornalisti e di comunicatori per poter spiegare in maniera adeguata al grande pubblico queste tecnologie ed evitare così incomprensioni e, nel peggiore dei casi, allarmismi”.