Sofia Pasotto

Dopo la laurea in Studi Internazionali conseguita a Trento, oggi Sofia Pasotto frequenta un master in Climate Change all’università di Copenaghen per approfondire la propria conoscenza su una tematica che la appassiona da sempre: il clima e il modo in cui sta cambiando.

Ed è proprio parlando di cambiamento climatico, dei fenomeni che lo causano e di quelli catastrofici che ne potrebbero derivare che Sofia negli ultimi anni ha visto crescere il proprio network online, realizzando contenuti e conversazioni attraverso il suo profilo – @telospiegasofia – che su TikTok conta oltre 60mila follower e su Instagram poco meno di 24mila.

Il suo attivismo però nasce e cresce lontano dai social media, nelle piazze e durante le manifestazioni per porre l’attenzione su quella crisi ambientale che impone con sempre maggiore urgenza un cambiamento del concetto di sviluppo e di consumo così come lo conosciamo.

L’agenzia internazionale dell’energia nel 2021 ha detto che per arrivare al net-zero nel 2050 dobbiamo impiegare tecnologie di cattura del carbonio, ma dobbiamo soprattutto smettere di investire in combustibili fossili e in nuove estrazioni” ci racconta Sofia Pasotto ai piedi del palco centrale di Ecomondo, dove l’abbiamo incontrata.
La transizione è un processo che a mio parere deve essere supportato da fatti e non da parole: nessuno si può aspettare che avvenga da un momento all’altro, ma ci sono molte aziende ancora che oggi dichiarano una cosa pur facendone altre, e questo aumenta anche il rischio di greenwashing. Per fortuna, gli addetti ai lavori questo lo sanno già“.

Ma più che di tecnicismi, con Sofia Pasotto abbiamo parlato a lungo della crisi climatica dal punto di vista della comunicazione, cercando di inquadrare angolazioni e attori diversi, a cominciare da quelli istituzionali: “Io credo che manchi molto la comunicazione capace non solo di raccontare gli obiettivi raggiunti dal paese, ma anche il percorso intrapreso. Noi abbiamo bisogno di conoscere per poter trarre esempio ed empatizzare con un certo risultato ottenuto. Ovviamente se manca questo flusso di informazioni, è un problema: e penso che la comunicazione vada affidata agli organi strutturati competenti, non tanto alle singole personalità politiche o istituzionali“.

Con la tua presenza sui social cerchi di sopperire a queste mancanze?
Io non posso certo sostituirmi agli organi di informazione istituzionali. Cerco di far capire alle persone che possiamo andare al di là di un titolo clickbait o di voci di corridoio. Cerco di evidenziare che queste lacune esistono, ma più che altro di fornire gli strumenti necessari alle persone per riconoscere da sole questi vuoti informativi e, allo stesso tempo, capire quali sono i dati scientifici a cui affidarsi per distinguere iniziative e progetti virtuosi da valorizzare da quelli che invece sono solo di facciata”.

Una competenza, questa, da sviluppare il più possibile e utile soprattutto nell’universo social, dove continuano a moltiplicarsi – nel bene e nel male – le voci di ogni genere che mettono il climate change al centro della propria narrazione: “quello della sostenibilità è un concetto molto sdoganato. Ora essere “green” significa ricavi e profitti, e questo non solo in ambito business ma anche per quanto riguarda chi produce contenuti in ambito social” ci spiega Pasotto, che sottolinea un rischio importante “se i post che tanti “eco-influencer” realizzano per spiegare, ad esempio, come fare la raccolta differenziata o in cui consigliano quali prodotti sostenibili acquistare o meno sfuggono di mano, questi spunti tematici potrebbero rivelarsi armi a doppio taglio e ‘ridursi’ a mero progetto di business online”.

Ma non pensi che queste pillole di informazione servano comunque?
Sì, servono decisamente: anche perché noi abbiamo anni e anni di mancata educazione scolastica sull’argomento “ambiente” e quindi serve parlare a tutti i livelli e parlare con tutti i linguaggi possibili che possiamo trovare. Tutto serve, dico semplicemente di fare attenzione perché alcune persone fanno solo speculazione sulla sostenibilità: anche per questo motivo non mi piace essere definita ‘influencer’ sul clima, io nasco attivista e ho iniziato la mia attività di divulgazione a prescindere. Non dico che chi monetizza fa male, beninteso, ma che talvolta può farlo su progetti non sempre così virtuosi: per cui occorre spirito critico anche nell’interpretare determinati contenuti“.

Come detto, tu lavori molto negli ambienti digitali, ma che ne pensi del ruolo di fiere e manifestazioni “fisiche” come Ecomondo?
Io credo che sia fondamentale il contatto umano, vis-à-vis, quindi anche le fiere sono strumenti fondamentali. E credo sia anche giusto fare gli appuntamenti solo tra addetti ai lavori, B2B, ma sarebbe senz’altro bello che talvolta questi appuntamenti “si aprissero” anche al grande pubblico, per spiegare a tutti e in parole semplici che esistono davvero tante realtà e progetti che meritano di essere conosciuti e che possono essere di ispirazione per la società.
Sono sinceramente contenta di vedere così tanta attenzione di addetti ai lavori e non su economia circolare, tematiche dei rifiuti e transizione ecologica“.