È una cooperazione intensa quella tra l’Italia e il Kenya, tra due Paesi così lontani, ma così vicini grazie ai progetti di partenariato attivati nel corso degli anni per sostenere anche lo sviluppo di molteplici filiere alimentari. Tra queste, quella del caffè con “Arabika”, il progetto nato dalla cooperazione governativa tra i due Paesi fondato e guidato da AICS, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
L’iniziativa “Rilancio della produzione del caffè gourmet in Kenya”, realizzata attraverso il progetto “Arabika”, programmata per il 2021-2024, ha consentito di stringere ulteriormente il legame tra la Penisola e l’Africa, oggi quanto mai attuale grazie al Piano Mattei, su un bene chiave per entrambi i Paesi: per il Kenya, con i suoi chicchi di qualità assoluta che sostengono cinque milioni di persone, così come per l’Italia, terra di consumo per eccellenza del caffè.
Marco Riccardo Rusconi, Direttore AICS nominato lo scorso 12 dicembre alla guida dell’Agenzia che opera sotto l’indirizzo politico del MAECI, ci racconta il progetto che sta coinvolgendo oltre 30.000 caffecultori appartenenti a 21 cooperative agricole attive nelle sette Contee di intervento, con l’Italia impegnata nel trasferimento di conoscenze e risorse strategiche per dotare il Kenya delle condizioni economiche, produttive e sociali per stabilire rapporti paritetici commerciali nel settore su scala internazionale.
Dott. Rusconi, su quale base nasce la cooperazione tra Italia e Kenya per il caffè?
“Nel quadro della politica estera nazionale, l’attivazione della cooperazione tra Italia e Kenya AICS sul caffè risponde alla missione più ampia di creare sviluppo nei paesi partner attraverso la costituzione di partenariati. Il caffè è uno dei “denominatori comuni” di due Paesi che intendono attivare collaborazioni paritetiche di lungo termine su molteplici settori, come quello idrico, sanitario o tessile oltre allo stesso caffè. L’Italia affianca un Paese economicamente molto vivace in molti ambiti di cooperazione, per accompagnarlo nei progetti, programmi, strategie di sviluppo che esso stesso si è dato”
Il caffè, comunque, è un asset centrale per entrambi i Paesi.
“Assolutamente. Se parliamo di caffè, parliamo di un tratto distintivo dell’italianità, di un prodotto molto importante sul fronte dei consumi, della produzione e dell’innovazione. Per il Kenya, con l’agricoltura che rappresenta la spina dorsale economica del Paese, il caffè rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia, una commodity che crea lavoro, ricchezza e che tramite l’esportazione consente di importare valuta forte. Un bene sul quale il Kenya ha una visione di lungo periodo, che noi attraverso il progetto “Arabika” sosteniamo con risorse economiche, – 2,8 milioni di euro – trasferimento di know how e capacity building”
Trasferimento di risorse e competenze: quali sono gli attori coinvolti nel il progetto che supportano il raggiungimento degli obiettivi?
“In questo caso specifico, per realizzare il progetto “Arabika” ci siamo affidati alle Organizzazioni della Società Civile (OSC), che sono parte attiva del sistema italiano di cooperazione internazionale allo sviluppo, già presenti in Kenya. Organizzazioni come Cefa Onlus, Avsi e E4Impact Foundation, importante incubatore di imprese dell’Università Cattolica di Milano, sono gli enti realizzatori di “Arabika”, in partenariato con le controparti kenyane, tra cui il Coffee Research Institute, le università locali, i Governi delle Contee, il Ministero dell’Agricoltura del Kenya”
Quali sono nello specifico le aree di intervento?
“Con il progetto “Arabika” l’Italia supporta il Kenya con interventi diretti sulle tecniche produzione, sull’aumento della produttività, sulla scelta delle varietà di caffè “palatabili” per i mercati internazionali, sulla degustazione effettuata da coltivatori e cooperative, sulla tracciabilità e sulla sostenibilità. E ancora, sulla brandizzazione del prodotto, che è un tema molto importante perché il Kenya, in un settore come quello del caffè e sui suoi 30.000 farmers, parte da una base altamente frammentata. Benché esista un sistema produttivo organizzato in cooperative, va aumentata l’attrattività e la riconoscibilità del prodotto nei Paesi importatori, attraverso dei marchi di origine che abbiano caratteristiche uniche in termini di storia e profilo di tazza.”
Cos’è l’Italia per il Kenya?
“L’Italia per il Kenya è in primis un modello credibile, nel quale il Paese si riconosce, perché questa frammentazione produttiva è parte in un certo senso anche nel nostro “DNA italiano” e la ritroviamo dentro i nostri confini imprenditoriali. Siamo un partner perfetto, perché culturalmente votati all’eccellenza assoluta della qualità, una garanzia per produttori keniani, che grazie a noi riescono a inserirsi e ad affermarsi su filiere globali. Ecco perché grazie al nostro percorso e alla nostra evoluzione l’Italia per il Kenya è un modello raggiungibile”
Lavorare su un modello altamente frammentato comporta il bisogno di conoscere a fondo le dinamiche sociali di un Paese e un territorio lontano.
“La Cooperazione Italiana si distingue su scala internazionale per una grande sensibilità nei confronti delle strutturazioni locali. Dunque, le nostre azioni si concentrano sulle persone prima ancora che sulle forniture e sui mezzi. Sappiamo creare e rafforzare capacità perché riconosciamo il valore della formazione, perché interveniamo in modo omogeneo e con equilibrio tra diversi gruppi, perché facciamo empowerment per le donne e per i giovani migliorando le condizioni di lavoro e le politiche remunerative, creando le basi che servono ai Paesi per viaggiare spediti verso un futuro innovativo e sostenibile. Senza questa sensibilità la cooperazione non avrebbe raggiunto i risultati di successo che le sono riconosciuti”
La cooperazione, oltre che benefici sociali, commerciali ed economici, può avvicinare i Paesi anche sul fronte culturale?
“Se restiamo sempre nell’ambito di Arabika e del caffè, è prevedibile che gli interventi possano contribuire a incentivare la crescita di consumo sul mercato interno di un prodotto che, per il Kenya, ha sempre rappresentato quasi esclusivamente una commodity commerciale. A Sigep, come sottolineato durante il mio intervento con Lorenzo Galanti, Direttore Generale dell’Agenzia ICE e Anthony Muriithi, Attaché per l’agricoltura dell’Ambasciata del Kenya in Italia, Arabika sta intervenendo anche per favorire la creazione di una maggiore cultura del caffè nello stesso Kenya, attraverso corsi di coffee cupping e attività di formazione presso le cooperative”
Quali vantaggi portano i progetti di cooperazione internazionale per il settore privato?
“Il ruolo della cooperazione è quello di creare contesti favorevoli in aree specifiche che quindi possono divenire attrattive per le realtà imprenditoriali. In sintesi, la cooperazione crea le basi economiche e sociali per potenziali nuovi investimenti in aree che, proprio grazie ai progetti di sviluppo, risultano più attraenti per il settore privato italiano”
Il progetto Arabika si sta sviluppando sulla fascia temporale 2021-2024. Cosa succederà dopo?
“La cooperazione è un processo che si sviluppa per fasi. Terminato un progetto, il Paese che l’ha avviato deve uscire di scena, in accordo con il Paese partner. Non perché si ritira, ma proprio perché è stato raggiunto l’obiettivo, che è quello di aver creato le basi economiche, sociali e tecniche per stabilire rapporti paritetici. Nel caso specifico, quando si lavora sulle catene del valore, che sia caffè o cacao o simili, si tratta di un processo che richiede del tempo e, in accordo con le controparti locali, è sempre possibile uscire o ideare ulteriori fasi, qualora necessario. Sarà così anche per Arabika, perché lavoriamo con un Paese dinamico che ha una grandissima voglia di futuro, specialmente nelle sue generazioni più giovani, che sono la grande risorsa per rendere il Kenya più tecnologico, energico e innovativo”